
Depressione / Famiglia
Depressione post partum: cos’è e come distinguerla
La depressione post partum (DPP), anche conosciuta come depressione puerperale, è un problema che colpisce una buona percentuale di neomamme (secondi le ultime statistiche dal 7 al 13% in Italia) ed esordisce tra la sesta e la tredicesima settimana successiva alla nascita del neonato.
Questo tipo di disfunzione può avere in ogni persona forme e intensità diverse, con conseguenze pratiche nella vita di ogni giorno.
Quali sono i sintomi della depressione post partum?
I sintomi più comuni della DPP sono: sensazione di tristezza non imputabile a motivi precisi, irritazione, crolli emotivi. Inoltre, i soggetti affetti avvertono il costante timore di non essere all’altezza delle responsabilità e degli impegni attesi.
Altresì, un sentimento ricorrente della DPP, è un inspiegabile senso di colpa misto a vergogna. Questo perché c’è l’errata percezione (esterna quanto interna) che una neomamma debba essere sempre felice. É qui che, in contrasto con alcuni disagi e sentimenti interni, che alcune donne si sentono colpevoli di qualcosa e, di conseguenza, di essere delle madri snaturate. Dimenticando che spesso occorre soltanto tempo – e il giusto supporto – per sentirsi adeguate alla maternità.
Depressione post partum: perché non bisogna sottovalutare il problema
La depressione post partum interferisce con la possibilità di instaurare un rapporto pieno con il proprio bambino. Secondo uno studio, infatti, il 67% delle madri depresse dicono di aver difficoltà ad interagire e ad attaccarsi al proprio pargolo. Ciò può avere ricadute di lungo termine importanti sullo sviluppo sociale ed emotivo del bambino.
Cos’è la baby blues e in cosa differisce dalla DPP:
La DPP va distinta anche da una reazione piuttosto comune, denominata “baby blues” (“blues” significa malinconia), caratterizzata da una indefinibile sensazione di malinconia, tristezza, irritabilità e inquietudine, che raggiunge il picco 3-4 giorni dopo il parto e tende a svanire nel giro di pochi giorni, generalmente entro i primi 10-15 giorni dal parto. La sua insorgenza è da attribuire a fattori biologici: ovvero al drastico sconvolgimento ormonale conseguente al parto (crollo degli estrogeni e del progesterone) e alla spossatezza generale fisiologica dopo un travaglio. Si riscontra in circa il 70% delle madri.
Nei nostri percorsi cerchiamo di fotografare entrambi i problemi e di porre RIMEDI pratici per fronteggiarli al meglio. Ti invito a conoscere di più sul tipo di percorso che propongo visitando la homepage.

Terapia di coppia
Crisi di coppia dopo la nascita di un figlio: come affrontarla
Come affrontare la crisi di coppia dopo nascita di un figlio? In questo articolo proviamo a rispondere ai dubbi e ai timori che affliggono i neogenitori.
La nascita di un figlio trasforma la coppia coniugale in coppia genitoriale modificando molti equilibri.
L’arrivo di un bambino, infatti, segna un nuovo punto di inizio e una rottura delle abitudini di vita precedenti che portano a un cambiamento degli equilibri preesistenti in grado di causare anche disfunzioni importanti nella relazione. Anche in quelle dove prima tutto funzionava perfettamente.
Perché con un figlio la coppia può andare in crisi?
Questo perché in una relazione diadica si inserisce una terza creatura che è totalmente dipendente dalle figure genitoriali. Nessun bambino, infatti, può sopravvivere senza le amorevoli cure e attenzioni dei propri genitori. Una condizione che diventa di mutua dipendenza psicologica, soprattutto nella madre, per cui il figlio ha una priorità assoluta rispetto alla quotidianità pregressa.

Quali sono i cambiamenti più comuni?
- Scontri su come accudirlo: le convinzioni e le opinioni su cosa è meglio fare o non fare con il bambino possono portare a discussioni che spesso innescano forti scontri o incolmabili divergenze, soprattutto quando uno dei genitori o entrambi nutrono un desiderio di rivalsa personale sul figlio. Questo vale in entrambe le accezioni, ad esempio sul non volersi comportare come si comportava con noi nostro padre o nostra madre, su cosa spingerlo a fare e cosa no, e così via.
- Cambiamento nei ruoli: da compagna/moglie e compagno/marito si diventa madre e padre, un cambiamento radicale e che vale per la vita.
Dato che non esiste un manuale universale per diventare buoni genitori, spesso possono nascere delle divergenze fra la coppia, soprattutto quando uno prevale sull’altro per questioni di carattere o per il tempo con cui sta a contatto con il figlio. Ciò può innescare anche sentimenti di gelosia nel partner perché d’un tratto, tutte le attenzioni sono rivolte al bambino.
- Cambiamento nella sfera sessuale: nel cambiamento naturale dei ruoli ci si dimentica di restare uomini e donne, non solo genitori. Potrebbe sparire, dunque, il rapporto coniugale. Generalmente il desiderio e la complicità sono due dei collanti che tengono unite le coppie. Quando avviene un fisiologico calo del desiderio, se non gestito al meglio, può far sorgere muri che possono diventare insormontabili.
Come superare la crisi di coppia dopo la nascita di un figlio?
Dunque, è possibile superare la crisi di coppia dopo la nascita di un figlio?
Assolutamente. É possibile attraverso un percorso di consulenza non tanto volto a ripristinare l’equilibrio precedente – abbiamo accennato che è un nuovo punto di inizio da cui non si torna indietro – ma trovarne uno nuovo ancora più appagante e sereno. Costruire un nuovo ponte per ricongiungersi in tutti i sensi con il partner. Per essere non solo buoni genitori, ma mantenendosi buoni mariti e mogli.

Eventi
Corso post-parto
Oggi si è tenuto uno dei diversi incontri insieme all’ostetrica (Valentina Barone) del Corso Post-parto(fascia d’ età 12-18 mesi)Un momento di confronto per le madri, dove sono stati trattati argomenti come Relazione madre-bambino, riconoscimento e differenziazione tra l’ essere donna e l’ essere madre , attraverso le esperienze delle partecipanti.Con strumenti che aiutano il bambino a sviluppare i sensi in modo armonioso e giocoso.

Famiglia
Emancipazione della donna : cambiamento del ruolo materno
«Nella maternità affondano profondamente le radici tanto della schiavitù
quanto della liberazione del sesso femminile».
Helene Stöcker, 1912
Il termine di emancipazione (dal latino: affrancamento dalla schiavitù) suggerisce l’idea che le donne si trovassero prima in una situazione di schiavitù e spesso infatti il termine viene usato per descrivere la condizione della donna nel passato. In relatà lo schiavo non ha diritti, può essere utilizzato in qualunque modo il padrone ritiene opportuno, può essere comprato e venduto. Le leggi e gli usi le danno sempre diritti e ruoli precisi, non può essere venduta o comprata, non le può essere imposto di prostituirsi con altri, riceve rispetto soprattutto in quanto madre. Lo status di schiave era distinto da quello di moglie. Il modo in cui il ruolo materno cambia ha a che fare con l’organizzazione , la cultura familiare ,dipende da fattori esterni, legati essenzialmente alla dimensione storica e sociale in cui la donna è collocata, ed interni, relativi alle trasformazioni della famiglia e del ruolo della madre al suo interno.
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Terapia di coppia
ADOZIONE E ATTACCAMENTO: la ristrutturazione progressiva delle forme di attaccamento
Teoria dell’attaccamento
Secondo lo psichiatra infantile inglese John Bowlby, fondatore della Teoria dell’Attaccamento, il bisogno primario di ogni essere umano è quello di essere accuditi e protetti (Bowlby, 1988). L’attaccamento costituisce una motivazione innata a ricercare la vicinanza protettiva di un caregiver, ossia di un adulto percepito come figura stabile cui rivolgersi in caso di necessità o di aiuto.Le relazioni di attaccamento sono perciò i primi modi che ciascuna persona sperimenta per sentire se stesso e le proprie emozioni grazie alle relazioni affettivamente importanti che sviluppa con le persone che se ne prendono cura in maniera continuativa e dedicata. Nelle famiglie cosiddette normative, dove il piccolo cresce in ambienti affettivamente stabili e senza discontinuità nella disponibilità degli affetti:
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